Conclusione della vicenda Philips-Saeco

Si è conclusa da pochi giorni la vicenda Philips – Saeco. Un evento iniziato a fine novembre 2015 con la notizia della volontà dell’azienda di licenziare

243 lavoratori. Da quel momento si sono susseguite  in Appennino una serie di manifestazioni per cercare di evitare un’ ennesima ferita all’alta valle del Reno, che negli ultimi anni ha subito  gravi colpi: dalla chiusura del punto nascita dell’ospedale di Porretta Terme, alla crisi economica che ha visto cassa integrazione e possibili licenziamenti anche per altre ditte (DEMM e Metalcastello), alla chiusura del Tribunale di Porretta Terme alla sempre peggiore situazione del trasporto ferroviario. 243 famiglie senza lavoro, in una comunità di poche migliaia di persone, sono tante. E il fatto che questo sia l’effetto di ‘come va il mondo’ – ovvero di uno dei lati d’ombra di globalizzazione e delocalizzazione – non è certo una consolazione. Per farsi coraggio serve altro, servono atti e parole e scelte che mostrino un lato di comprensione e vicinanza. Da questo è nato ‘Poesie per farsi coraggio’, un’azione piccola in principio (portare poesie al corteo di protesta che ha visto sfilare accanto  lavoratori e tanti cittadini della zona) – un’azione che si è allargata poi a tante parti d’Italia quando come associazione arci SassiScritti abbiamo diffuso l’appello a artisti, teatranti, poeti e musicisti a partecipare al presidio culturale che abbiamo organizzato nel presidio che gli operai hanno tenuto strenuamente in piedi davanti alla fabbrica per più di 70 giorni. Hanno aderito in molti, con slancio e generosità, una bella prova che l’arte e la cultura possono e vogliono restare vicino alle persone. E così nella tenda fredda si sono incontrati operai e cantanti, impiegati e attori, insegnanti e commercianti e disegnatori e bibliotecari e bambini e insomma tante persone unite nel desiderio di vivere e ribadire la speranza. Dopo vari incontri tra RSU, proprietà e  Governo italiano il “caso”  Saeco si è infine chiuso, forse con qualche amarezza addolcita da qualche ammortizzatore. Qualcosa è finito, è andata bene? E’ Stato utile? Questo non lo sappiamo, siamo però convinti che dentro quella tenda cittadini, operai, artisti, bambini, uomini. donne e giornalisti ci hanno almeno provato.

Ora si apre una fase ancora più difficile perché rischiamo di perdere tutti la memoria di quanto è accaduto.
Allora vogliamo ringraziare ancora tutti quelli che generosamente ci hanno accompagnato dentro la fragilità e dignità del presidio.

Come associazione siamo vicini ai lavoratori, perché comprendiamo quanto complesso è il momento della scelta. Non ci è forse possibile aggiungere molto altro, così come misterioso e complicato è giudicare questo tempo e le alte e contraddittorie richieste che fa a ciascuno di noi. Lasciamo una poesia di Fabio Franzin, poeta operaio che ha da subito affermato la sua solidarietà. Una poesia certo amara, ma densa, profonda e  viva – piena insomma di tutto ciò che è davvero necessario e che noi abbiamo tentato di portare.

Èco, vardéne: sen qua, tuti insieme
sot’a tetòia de eternit e lamiera drio
‘a segheria, un branco de pòri cristi
a l’onbrìa del silo; vardéne, ‘dèss
che quel del sindacato e ‘l diretór
dea fabrica i ne ‘à ‘assà là da soi


da soi òniun co’i só pensieri, ‘a só
ansia, el rabiosón; ‘dèss che forse
pa’a prima volta sen davéro tuti
compagni, cussì, ligàdhi aa stessa
sort. Vardéne: se ‘ven anca scanà
fra de noàntri, e sbarufà, se ‘ven


mandà a cagàr a volte, parché un
ièra un fià lechìn, el fea ‘a spia su
in ofìcio, o parché cheàltro tiréa
el cul indrìo, no’l capìa un ostia.
E ‘dess par squasi che se ‘vene
senpre vussù ben, che sene tanti


fradhèi ribandonàdhi da un pare.
Calcùn l’à sgobà insieme par vinti
àni, cómio co’ cómio, bestéma co’
sudhór; calcùn no’l voéa pròpio
savérghine de lavoràr in còpia co’
cheàltro, altri i ‘à vist el só ben


fiorìr drio ‘na fresa, basi robàdhi
fra un toc e ‘n’antro, i fiòi crésser
fra i turni e ‘l mutuo; un l’à vist
un déo sparìrghe via daa man, tut
a un trato, ‘n’antro se tièn duro ‘a
schena, co‘l lèva su daa carègha.

[Ecco, guardateci: siamo qui, riuniti / sotto la tettoia di eternit e onduline dietro / la segheria, un manipolo di poveri cristi / all’ombra del silo; guardateci, ora / che il rappresentante sindacale e il direttore / dell’azienda ci hanno lasciati soli, lì // soli ognuno con le sue preoccupazioni, la sua / ansia, il rancore; adesso che forse / siamo per la prima volta davvero / una classe, così, incatenati alla stessa / sorte. Guardateci: ci siamo anche scannati / fra di noi, e azzuffati, ci siamo // mandati a quel paese a volte, perché uno / era un po’ ruffiano, confidente / dei caporioni, o perché l’altro tirava / il culo indietro, non capiva un ostia. / E ora sembra quasi ci si sia / sempre voluti bene, tanti // fratelli abbandonati da un padre. / Qualcuno di noi ha sgobbato insieme per venti / anni, gomito a gomito, bestemmia a sudore; qualcuno non voleva assolutamente / saperne di lavorare in coppia con / l’altro, altri hanno visto il loro amore // fiorire accanto a una fresa, baci rubati / fra un pezzo e un altro, i figli crescere / fra i turni e il mutuo; uno ha visto / un dito sparirgli via dalla mano, tutto / a un tratto, un altro si tocca la / schiena, sollevando il suo corpo dalla sedia.]

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Una risposta a “Conclusione della vicenda Philips-Saeco”

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